Friday, October 06, 2006

Bologna Beyrouth:solo andata.

CAPITOLO 1
La strada che separava due file di alte case costruite agli inizi del ‘900 era leggermente in discesa, con i marciapiedi di porfido scuro a cubetti sui due lati. Di fronte il vecchio palazzo stava cupo come in paziente attesa, con tante finestre rettangolari scure come occhi nella notte. Il suo intonaco color tufo stinto doveva aver visto molte carrozze di Principi,nobili e prelati sfilare davanti al voltone d’ingresso al tempo degli sfarzi dell’impero di Vittorio Emanuele III. Forse anche qualche testa coronata .Il clima era primaverile,il sole scaldava a dovere gli arti indolenziti dell'uomo in piedi dalle prime ore del mattino. Dopo un viaggio in auto di 4 ore da nord a sud il profumo dei fiori della capitale era quello che ci voleva per ritrovare il buon umore seduto a un tavolo del bar a fumare piano. Giovani ragazze con i capelli appena lavati risalivano la strada illuminate dal sole lasciandosi dietro tracce di profumo. L'appuntamento era per le nove e l’uomo non voleva mancare di riguardo al direttore che lo stava aspettando,almeno così aveva detto al telefono, al quinto piano. Due telecamere a cinque metri da terra sorvegliavano il pesante portone d’ingresso aperto per metà. In fondo all’’ampio atrio poco illuminato stava un’enorme scrivania vecchia ma ben tenuta,di quelle che si trovavano spesso negli uffici pubblici di periferia. L’uomo entrò con prudenza. Il tipo che lo fissava dalla sedia con le ruote dietro la scrivania sembrava troppo alto e robusto per essere un qualsiasi usciere di quelli che si trovavano tra gli iscritti alle liste di collocamento.
-Ho un appuntamento-
disse l'uomo assumendo la sua migliore espressione ebete- tranquillizzante
-con il direttore-
aggiunse abbozzando un quasi-sorriso di giustificazione mentre porgeva una carta d'identità che aveva visto tempi migliori .Il tipo grosso lo squadrò da capo a piedi e confrontò la foto del documento con la faccia sgualcita dell'originale. La sua espressione era di diffidenza seccata,come a dire che nessuno si può rendere esattamente conto di quanto sia difficile e gravoso controllare l'accesso di un posto come quello. Nessuno.
-Viktor Milani?-
Chiese alzando il sopracciglio sinistro con un tono di leggero disgusto per far intendere che un nome come quello puzzava di fasullo e lui non se la beveva .
-Si,sono io-
confermò l'uomo corrugando la fronte rassegnato alle procedure di routine per l’identificazione mentre fissava l’occhio di una terza telecamera che dal muro lo seguiva.
L'altro, seduto, con un grosso dito quadrato pigiò un bottone nero su un citofono e annunciò la visita marcando il tono per farsi intendere chiaramente. Dall'altra parte una voce dall'accento mediterraneo lanciò un chiaro e secco
-OOOKKKEEEIIII-
di assenso .
Mentre saliva con un ascensore scampato ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, denso di odori forti e di graffiti osceni alle pareti, una moderna telecamera con l’auto-brandeggio lo seguiva dall’incrocio sinistro tra le pareti e il soffitto. Di solito quando si è soli in quelle circostanze si fanno le cose più strane ma così,riflessi nell’occhio scuro e lucido appeso sopra la testa, era tutt’altra cosa. Viktor restò immobile a studiare quel buco nero che lo fissava per tutto il tempo che impiegò a salire i 5 piani.
Fu un’eternità e il ronzio delle carrucole che lo trascinavano verso il suo fato gli ricordò il cigolio della macina che girava all’infinito spinta da un Conan bambino che cresceva scandendo le stagioni dell’esistenza. Come la sua vita alla quale lui aveva deciso di imprimere una brusca accelerazione senza andare tanto per sottile,soffocando il buon senso che non aveva e la paura che invece conosceva bene,lanciandosi nella mischia per cercare di prendere il toro per le corna. Vincere o morire,non era così che funzionava da sempre per quelli come lui?Ora era troppo tardi per chiedersi chi glie l’aveva fatto fare e perché non se n’era andato in vacanza tra gli scogli di Saint Tropez. Il suo tempo stava per scadere varcando quella porta al quinto piano e non sarebbe servito a nulla rimuginarci sopra. L’ascensore si fermò di colpo con un rumore secco di metallo e un giovane di buona statura ma dal sorriso cortese comparve dietro la griglia di ferro della porta e la aprì invitando Viktor a seguirlo in un salottino del tutto simile alle anticamere che si trovano nelle stazioni dei Carabinieri. Arredo sobrio e consumato,riviste militari e uno specchio alla parete che aveva tutta l’aria di non limitarsi solo a riflettere le immagini. E specchiandosi non vide un uomo sui trent’anni in giacca di pelle nera con i capelli lunghi sul collo e la faccia stralunata,ma un corteo di persone che marciava urlando slogans per le strade strette del quartiere universitario. Una colonna di autocarri da cui scendevano uomini in divisa. Giovani mascherati e urlanti che tiravano sassi e bottiglie molotov. Un carabiniere imbracciava il fucile d’ordinanza e sparava. Ora tutto diventava più chiaro ma forse era troppo tardi.








CAPITOLO 2

-Allievo si presenti!-
urlò il caporalmaggiore istruttore espandendo il torace compresso dal giubbotto grigio-verde,le gambe larghe piantate al centro del piazzale della caserma. Viktor stava strisciando lungo i muri della palazzina comando per andare allo spaccio della truppa alla ricerca di cibo ed essendo di corvée in camerata cercava di passare il più possibile inosservato per evitare brutti incontri. Ma la fortuna quel giorno non gli era amica. Il caporalmaggiore Puggione era una maledetta “firma” strappato al duro lavoro di pastore sui monti della Ciociaria dalla prospettiva di un lavoro regolare e di una divisa per farsi bello con le ragazze.Ci godeva una cifra a dare il tormento agli allievi che considerava privilegiati e figli di papà. A Viktor non restò altro che fare buon viso e attaccare la filastrocca della presentazione.
-Allievo ufficiale Victor Milani,quinta squadra,secondo plotone,seconda compagnia,primo battaglione allievi scuola di fanteria.Cesano-
Aveva urlato come un pazzo assumendo la posizione di “attenti” come gli avevano insegnato durante i primi 15 giorni di corso ma non si faceva illusioni,Puggione aveva agguantato l’ osso e certamente non lo voleva mollare così in fretta. E in effetti.
-Non ho sentito bene allievo-
Urlò di rimando il superiore dalla sua posizione al centro del piazzale a cinquanta metri di distanza.
-Faccia dietro front e vada trenta metri più indietro-
Era un classico,ti faceva ripetere la nenia e se non ti facevi venire l’ernia urlando come un disperato ti ordinava di allontanarti per un’altra dura performance. Vicktor eseguì sottomesso stramaledicendo il cuor suo la fame e la sua sortita in cerca di pane e salame.Si allontanò fino al punto presunto ideale, si girò sui tacchi e irrigidendosi riattaccò la solfa al limite della rottura delle corde vocali assumendo un colorito del viso e del collo tra il rosso Sahaara e il blu marino.
-Allievo ufficiale Viktor Milaniii,quinta squadraaa,secondo plotonee….-
L’eco delle sue grida insulse rimbombava tra le facciate delle palazzine che delimitavano il grande quadrato della piazza d’armi tanto che il colonnello di stato maggiore Borghesi si affacciò alla finestra del suo ufficio al terzo piano per controllare la situazione. Chi era quel fesso che urlava a squarciagola interrompendo le sue profonde riflessioni sul futuro della Nazione? Viktor Milani,a quanto pareva,allievo ufficiale della seconda compagnia quindi un mortaista.Tutti sovversivi i mortaisti pensò il colonnello prendendo a girare intorno alla tavola del suo ufficio e rimirando la sua immagine in divisa proiettata sui vetri che coprivano le grandi fotografie del battaglione Lagunari San Marco appese alle pareti. Il mortaio è un’arma da guerrigliero,da codardo che si nasconde dietro a una collina e fa il tiro a segno con le istituzioni. Non è come quelli delle armi a tiro teso,che fanno poche domande e sfidano il nemico guardandolo in faccia con i loro assalti,le Browning 12,7 e i cannnoni da 105 senza rinculo. Tutt’altra razza. E poi questo Milani gli ricordava qualcosa. La sua cartella gli era passata per le mani di recente compreso il modello T dei Carabinieri,quello che ufficialmente non esisteva. Veniva da Bologna,il covo delle “serpi rosse” .Ma come faceva un porco comunista iscritto al partito a frequentare il corso per diventare un ufficiale destinato a combattere e a dare la vita per difendere i valori dell’occidente contro la minaccia sovietica?La questione andava approfondita e alla svelta. Da quando il centro-sinistra era andato al potere nel paese 10 anni prima ogni tanto alla Scuola di Fanteria,la regina delle battaglie,mandavano qualche comunista per dimostrare all’opposizione che i militari erano fedeli e l’ambiente sano .E che le denunce dei componenti della commissione parlamentare di minoranza presieduta dall’on. Terracini sulle attività del Generale Delorenzo e dell’utilizzo dell’Arma dei Carabinieri nel “Piano Solo” erano dicerie,chiacchere da bar e fantasie di giornalisti in cerca di celebrità. Si però un comunista tra gli allievi ufficiali no,era troppo.
-Allievo faccia tre giri di corsa del piazzale.Forzaaa. Veloceee-
Urlò Puggione dondolandosi sui tacchi e lanciando l’occhio sulla finestra dell’ufficio del colonnello che aveva scorto in discreta osservazione. Questi allievi ufficiali in fondo dopo la stelletta diventano stronzi e pieni di boria. Meglio approfittare finchè erano inermi al corso pensò soddisfatto aggiustandosi sulla testa quadrata e sudata il basco verde piccolo, del formato fuori ordinanza.
Viktor cominciò a correre con l’andatura pesante di chi indossa gli anfibi dell’Unione Militare e sta ingoiando un rospo pesante 100 kili. Represse il desiderio di lanciare uno scarpone in mezzo alla fronte di quel fottuto pecoraio represso in divisa e pensò alle squisite polpette di riso che forse avrebbe mangiato quella sera alla rosticceria di Ponte Milvio,vicino al viale dove stavano le puttane. Se ci arrivava a sera.

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